Ci sono cose che più di altre ci affascinano ed attirano la nostra attenzione. Io non sono certo un gran ciclista, ma difficilmente riesco a concepire una uscita in bicicletta, senza una bella salita, lungo il suo percorso: mi capita di partire da casa, ripetendomi il mantra “oggi sgambata facile in pianura” e poi, traaac, alla prima possibilità di svolta su una strada che mi porti lungo un pendio, non resisto e mi ci trovo dentro, a sudare a maledirmi, a sperare che dietro alla prossima curva sia finita la tortura.
Il Monviso mi provoca la stessa attrazione: lo vedo dalla finestra di casa mia e nelle giornate terse mi augura il buongiorno dall’alto dei sui quasi 4000 metri.

Con la sua forma perfetta, insieme ad un sole giallo ed alle rondini nel cielo con quella sagoma di montagna che tipicamente disegnavamo da bambini, non può risultarmi che simpatico.
Perfino la casa cinematografica Paramount lo ha eletto a suo simbolo.
Unendo i due elementi, la mia passione per le salite e l’attrazione che questo monte delle alpi Cozie esercita su di me, spesso mi ritrovo a fissarlo, ed il desiderio di “attaccarlo” con la mia bici, sorge quasi spontaneo. Se la salita al colle dell’Agnello è il versante più conosciuto, perché permette di raggiungere il versante Francese, ed anche perché teatro spesso di tappe memorabili del giro d’Italia, molto meno nota è la salita che porta al Pian del Re, strada e percorso con la finalità unica di condurre alla sorgente del fiume Po.
E così, qualche giorno fa, nonostante una forma fisica che non me lo consigliasse, ed una primavera che non vuole decidersi a partire con delle temperature veramente consone al periodo, mi sono ritrovato alla 8 della mattina, in sella al mio destriero, con direzione… lassù… Unica nota veramente incoraggiante, un cielo limpido che mi costringeva a credere che “Si” ne poteva valere veramente la pena…
E allora via, barrette in tasca e si pedala! Pinerolo, San secondo, Bricherasio, Ponte di Bibiana, Bibiana, Bagnolo Piemonte e poi Barge, un bel mangia e Bevi di circa 25 km con cui scaldare le gambe, ed anche il cuore vista l’arietta frizzante di 10° C.

E’ da Barge in poi che il Monviso mi dice chiaramente, che se lo desidero veramente, lo dovrò conquistare… la strada incomincia a salire in modo deciso, non ancora con pendenze a due cifre, ma sale, inesorabile, ogni tanto qualche pausa per rifiatare e poi ancora su. Quando a meno 17 km alla vetta, (che poi vetta non è trattandosi, di un semplice arrivo al termine di una strada chiusa) vedo comparire i cartelli che tracciano la cronoscalata e che con cadenza regolare, mi indicano cosa aspettarmi nei successivi 1500 metri, ho un momento di sconforto e continuo a chiedermi quando finirà.
Nel frattempo il Garmin snocciola pendenze a due cifre con preoccupante costanza. Quando vedo comparire un 14%, penso che forse, non ci potrò arrivare in cima. Quando ricompare un 9% ho modo di tirare il fiato e di recuperare. Come sempre la vita è solo una questione di punti di vista, ed una salita ti sembra durissima, solo finchè non ne affronti una più dura ancora.

Arrivato a pian della Regina, penso di esserci oramai riuscito: una sbarra chiude l’accesso ai veicoli e restano gli ultimi 2/3 km da percorrere. Sembrano eterni: li percorro nella solitudine più totale, non ho mai incontrato un ciclista, ne che salisse ne che scendesse. Mi chiedo perché non ve ne siano, ma sono sicuro che si possa arrivare fino alla fine, perché nel giorno precedente, ho chiesto su un forum conferma sull’accessibilità e la risposta era stata affermativa. Il fatto di essere totalmente solo, lo ammetto, mi trasferisce ancor di più la sensazione dell’impresa, ma anche una leggera inquietudine, quando mai ci capita al giorno d’oggi di essere totalmente soli e per di più immersi nella natura? Il telefono non ha campo, se la bici si rompe? Se mi sentissi male? Boh… testa bassa e spingere ancora, evitando i sassi e le rocce che il disgelo ha portato sul manto stradale: mi convinco che alla fine sono solo soltanto un abitante di questo secolo, con manie da connessione costante. Sarebbe proprio necessario un periodo di disintossicazione.
Nel mentre in cui cerco di riempire la mia testa, con queste riflessioni, nel tentativo di non abbandonarmi alla fatica ed al dolore delle mie gambe, ecco spuntare il rifugio posto all’arrivo: lo riconosco, ho visto le foto su Google Maps, so che ci sono quasi… La neve circonda la strada e riduce la carreggiata ad uno stretto passaggio. Serenità. Dubbi e timori spariti. Un uomo in tuta da sci d’alpinismo, scarponi ai piedi è appoggiato con la schiena al muro del rifugio (chiuso) e si gusta il suo panino. Non ci diciamo una parola, basta un semplice sorriso, nulla di più. Non posso non pensare alla fortuna di cui stiamo godendo, per la possibilità di essere qui, in questo momento con questo scenario.
Lui è li, il Monviso, enorme, perfetto, ci guarda. Li da millenni. Magnetico, attrattivo. Il rumore del fiume Po, che nasce proprio in questo punto, ci accompagna in questo istante. E’ soltanto un rivolo. Fa sorridere sapere a cosa diventerà, in qualche centinaio di chilometri.

Ho solo il tempo per qualche scatto, una barretta, due esercizi per stendere la schiena, il freddo è assassino, non posso stare fermo, purtroppo devo scendere. Non saluto nemmeno lo sciatore, mi sembra di disturbarlo, non voglio interromperlo è evidente si sta gustando questo momento di privilegio, cosa potrei aggiungergli io con la mia presenza?
I primi km della discesa sono quasi più impegnativi della salita: freddo, freddo, alle gambe, alle mani, collo e schiena indolenziti, fatica ad azionare i freni, fame….
Quando riguadagno la pianura le cose si rimettono gradualmente al loro posto. Pedalo tranquillo, sereno, felice anche se stanco. Rifletto sul perchè questa montagna mi attiri così tanto… ci deve essere dell’altro… incomincio ad unire altri elementi, ripercorro i miei interessi. L’acqua sotto ogni sua forma, laghi fiumi, neve, mare, mi hanno sempre calamitato, adoro la montagna, ma in maniera uguale soggiornare al mare e sono nato e cresciuto in questa pianura padana che è anche il luogo, che accoglie la mia professione, l’agricoltura e che che si è formata in millenni, grazie al passaggio di questo fiume, il Po. Non per ultimo, ora abito qui, in questa Torino, che è la prima città che questo fiume incontra lungo il suo percorso.
Si, forse deve essere questo il motivo del suo magnetismo nei miei confronti: il Monviso, sintesi di tutto ciò che io amo.
JT jt@cyclist4passion.com
Per chi volesse affrontare la salita, posso spedire la traccia GPS, basta mi scriviate una mail. Vi dovrete sciroppare circa 110 km per un 2100 metri di dislivello positivo. Ma come avrete capito, li vale tutti. Più duro il colle dell’Agnello o questa salita? Come sempre l’ultima sembra la più difficile. L’ho affrontata con meno condizione, quindi alla fine li metterei sullo stesso piano.